37s - 16 luglio
All' alba del giorno 8 luglio un nostro importante complesso navale era uscito dalle sue basi per eseguire una di quelle ricognizioni in forza nel Mediterraneo centrale, che hanno lo scopo di assicurare la libertà delle comunicazioni marittime e che non vengono rese di pubblica ragione perché la notizia non possa tornare utile al nemico.
In opportuna posizione, rispetto alla zona rastrellata dalle forze navali, erano stati dislocati in agguato vari sommergibili col compito di attaccare eventuali forze navali che fossero avvistate e dare informazioni sui loro movimenti.
Una vasta rete di esplorazione aereo - marittima integrava infine il dispositivo navale, mentre altri reparti dell' aviazione incrociavano, come di consueto, sul Mediterraneo occidentale e orientale.
Ben presto veniva segnalato che nel Mediterraneo orientale una squadra inglese, uscita da Alessandria e comprendente in totale tre corazzate da 31.000 tonnellate, armate ciascuna con otto pezzi da 381, una nave portaerei, cinque incrociatori e quindici cacciatorpediniere, avanzava verso ponente.
Quasi contemporaneamente veniva segnalato che un' altra squadra inglese costituita da due corazzate: la Hood da 41.500 tonnellate, armata con otto pezzi da 381 ed una del tipo Valiant di 31.000 tonnellate pure armata con otto pezzi da 381, dalla nave portaerei Ark Royal, da due incrociatori e da otto cacciatorpediniere era uscita da Gibilterra e dirigeva verso le Baleari.
Una notizia, giunta da uno dei nostri sommergibili in agguato, il quale aveva anche affondato un cacciatorpediniere della scorta al grosso delle forze nemiche, confermava l' avanzata della squadra di levante verso il Mediterraneo centrale.
Sulla base di tali notizie veniva allora concertato il seguente piano di azione: - attaccare a sud di Candia, durante tutta la giornata dell' 8, coll' aviazione da bombardamento dell' Egeo e della Libia, le navi provenienti da Alessandria; - vigilare la squadra Hood, ancora lontana, per essere in grado di attaccarla prontamente non appena fosse entrata nel raggio di azione utile dei nostri bombardieri; - dislocare le nostre squadre navali in zona adatta per assicurare, nella giornata del 9, l' incontro col nemico, coprendo nel contempo tutto il nostro settore costiero contenente i suoi probabili obiettivi.
Nella giornata dell' 8, dalle ore 9 alle 20 circa, in dieci ondate successive l' aviazione attaccava la flotta inglese nel Mediterraneo orientale con buoni risultati.
Non meno di dieci o dodici grosse bombe raggiungevano il bersaglio; a bordo di un incrociatore si sviluppava un incendio.
Nella notte sul 9, le nostre squadre navali raggiungevano intanto la zona loro assegnata dal piano prestabilito.
Il mattino del 9 la limitata visibilità, dovuta a foschia che gravava sul mare, impediva il controllo della formazione inglese, la quale alle 13,30 dava segno della sua presenza nello Ionio con un attacco di velivoli siluranti diretto contro un gruppo di nostri incrociatori distaccati in esplorazione avanzata.
Il tentativo veniva prontamente sventato, mentre cinque dei nove apparecchi attaccanti venivano abbattuti dal fuoco delle armi contraeree degli incrociatori.
Intanto gli idrovolanti catapultati dagli incrociatori e lanciati alla ricerca della formazione, fornivano precise indicazioni che consentivano al comandante in capo di stabilire, alle ore 15,45, il contatto delle artiglierie.
Il gruppo dei nostri incrociatori, che si trovava più prossimo alle navi similari della formazione avversaria, apriva per primo il fuoco, seguito da quello delle corazzate Cesare e Cavour subito controbattuto dalle corazzate britanniche.
Malgrado la forte distanza (26.000 metri), il tiro veniva rapidamente portato sul bersaglio e vari colpi raggiungevano le navi nemiche, una delle quali era vista appruarsi e cessare il fuoco.
Anche il tiro dell' avversario appariva efficiente: un colpo da 381 raggiungeva una delle nostre corazzate, esplodendo in coperta al centro della nave, presso il fumaiolo, senza però impedire che essa continuasse il proprio tiro con invariata intensità, poiché nessuna parte vitale della nave era stata colpita.
Mentre si svolgeva l' azione fra le navi maggiori, le squadriglie dei cacciatorpediniere che si trovavano in posizione favorevole, andavano animosamente all' attacco sfidando il fuoco di sbarramento delle navi maggiori del nemico, il contrasto dei suoi cacciatorpediniere e l' azione i bombardamento dei suoi aerei.
Nonostante la contromanovra delle unità nemiche, rivolta a frustrare l' attacco e ad evitare i siluri, uno di questi, lanciato dalla squadriglia Freccia, raggiungeva un incrociatore nemico.
Durante la manovra di avvicinamento, questa squadriglia di nostri cacciatorpediniere abbatteva inoltre tre velivoli inglesi.
L' aviazione della Sicilia e delle Puglie, entrata in azione alle 15,40, la continuava, succedendosi ininterrottamente sul cielo della battaglia, ma le difficilissime condizioni di visibilità, dovute alla foschia non del tutto scomparsa e, soprattutto, al fumo prodotto dai colpi delle opposte formazioni navali ed alle cortine nebbiogene con le quali esse si coprivano durante le manovre, ostacolavano un efficace intervento.
La flotta nemica cambiava decisamente rotta allontanandosi verso sud - ovest zigzagando per sottrarsi quanto poteva all' azione aerea.
Il gruppo Hood intanto aveva continuato nella sua rotta giungendo nel pomeriggio dello stesso giorno 9 a sud delle Baleari.
Così mentre nello Ionio infuriava la battaglia, l' aviazione della Sardegna poteva iniziare la sua implacabile azione che proseguiva lino alle ultime luci del giorno.
Alcune grosse bombe venivano centrate sul bersaglio; risultava colpita la nave portaerei; da una nave da battaglia si sprigionava, ben visibile, un incendio.
Nella stessa serata il gruppo Hood iniziava il ritorno verso la sua base di partenza.
Si chiudeva così la giornata del 9 con un importante successo delle nostre forze navali e aeree che per la prima volta si erano misurate contro quelle schierate in massa dall' Ammiragliato britannico.
Successo chiaramente apparso quando entrambi i gruppi nemici si allontanavano verso le loro provenienze, dimostrando di rinunciare al conseguimento di quelli che fondatamente si ritiene dovessero essere i loro obiettivi.
La formazione inglese sottrattasi alla battaglia nello Ionio, limitava infatti la propria manovra alle necessità della protezione di un modesto convoglio di 5 piroscafi che, dalla zona di Malta, doveva raggiungere Alessandria, mentre il gruppo Hood continuava a lenta velocità la sua rotta su Gibilterra.
Nella giornata dell' 11 le aviazioni della Sicilia e della Libia - le quali durante la giornata del 10 non avevano potuto individuare che elementi isolati - riprendevano sotto la loro azione le forze navali inglesi che, suddivise in tre gruppi - procedenti a diverse velocità, indubbiamente a cagione dei danni subiti e delle avarie conseguenti - si erano rimesse sulla via di levante.
Tale azione continuava ininterrotta nelle gior nate del 12 e del 13 durante le quali le forze aeree della Libia e dell' Egeo entravano in azione a mano a mano che la distanza dei vari gruppi da battere lo permetteva.
In tal modo queste nostre formazioni aeree di velivoli terrestri si spingevano arditamente sul mare aperto per oltre 600 chilometri dalle loro basi, meritando, anche per questo, titolo di onore.
Non meno di quaranta attacchi si succedevano implacabili contro il nemico, non meno di cinquanta bombe, fra le quali alcune di grossissimo calibro, colpivano le navi avversarie, con visibili effetti.
Dieci apparecchi da caccia nemici erano abbattuti.
Nella mattinata del giorno 11 il gruppo Hood rientrava a Gibilterra mentre nella notte sul 13 le forze navali di Alessandria rientravano in tale porto.
Da fonte nemica non sono ancora confessate le perdite da noi inflitte.
Dalle testimonianze di coloro che hanno partecipato al combattimento, dalla precisa e indiscutibile documentazione fotografica, dalla lentezza con la quale le navi hanno seguito la via del ritorno, dalla affievolita reazione contraerea, si può ritenere con sicuro fondamento che tali perdite siano state ragguardevoli.
Infatti un cacciatorpediniere e un piroscafo da carico sono stati certamente affondati; due navi da battaglia, quattro incrociatori, due navi portaerei, due cacciatorpediniere, sono stati sicuramente e, taluni, ripetutamente e seriamente colpiti; dodici aerei sono stati abbattuti; una decina distrutti o danneggiati a bordo delle navi portaerei.
Risulta inoltre per certo che di tali unità: - la nave da battaglia Hood è stata colpita con tre bombe, rispettivamente alla stazione di tiro dei grossi calibri, alla torre superiore prodiera dei pezzi da 381 ed alla stazione tele-metrica; - la nave portaerei Ark Royal è stata colpita da una bomba che ha demolito la parte esterna prodiera destra del ponte di volo e distrutti sette apparecchi; - la nave portaerei Eagle presenta una grande falla a prua.
Mentre l' Ark Royal è già entrata in bacino a Gibilterra, la Hood per mancanza colà di materiale e di attrezzatura potrebbe dover essere inviata in Inghilterra.

Entità nominali

Luoghi:
Navi:
Unità militari:
Persone:
Aeroplani:
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Luogo Reset
Sardegna
Sicilia
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EntitàTipo 
Ark RoyalNavi
EagleNavi
HoodNavi
ValiantNavi